Da
martedì 4 a domenica 9 marzo 2014
Compagnia
Lombardi - Tiezzi
NON SI SA COME
di Luigi
Pirandello
con:
Romeo
Daddi /
Sandro Lombardi, Bice Daddi / Pia Lanciotti, Giorgio Vanzi /
Francesco Colella, Ginevra Vanzi / Elena Ghiaurov, Nicola Respi
/ Marco Brinzi
drammaturgia
Sandro Lombardi e Federico Tiezzi
scene Pier
Paolo Bisleri
costumi
Giovanna Buzzi
luci Gianni
Pollini
regia di
Federico
Tiezzi
Giovedì
6 marzo, ore 18.00
Sandro
Lombardi e la compagnia incontrano il pubblico.
Alla
Pergola il Pirandello della compagnia
Lombardi-Tiezzi: Non si sa come da martedì 4 marzo.
Il testo è stato scritto
in Toscana, a Castiglioncello, nell'estate del 1934,
a pochi mesi dal Nobel per la letteratura, dopo la
prima a Praga in tedesco, debutta tra i fischi il 13
dicembre del 1935 a Roma facendo esclamare a
Pirandello: “Mi fischiano! Allora sono ancora
giovane.” Non
si sa come è il suo ultimo testo compiuto,
morirà l’anno dopo.
Ideato
in piena dittatura fascista, e in un periodo di
aspri conflitti dell’autore col regime a causa delle
difficoltà incontrate dal suo progetto di un Teatro
di Stato, Non
si sa come si apre in un “luogo incantevole”
come recita la didascalia d’apertura del primo atto,
nella casa di campagna in Umbria di Giorgio Vanzi,
un giorno di settembre: una dimora dove i
protagonisti, che appartengono a una borghesia
agiata e ignara dei cambiamenti politici e storici
in atto, conducono una vita disinvolta tra mobili da
giardino e pettegolezzi: pare infatti
che Romeo Daddi sia improvvisamente impazzito, di
gelosia pare...
La
trama di questo testo deriva dalla fusione di tre
novelle (Nel
gorgo, La realtà del sogno e Cinci). Al
centro del dramma vi è il rovello di Romeo Daddi,
che, dopo aver ceduto un momento alla passione per
Ginevra, moglie dell'amico Giorgio, si rende conto
di quanto sia facile commettere un atto che forse
può rivelarsi una colpa, senza averne
responsabilità, perché il fatto è accaduto ‘non si
sa come’, fuori della coscienza di chi lo ha
compiuto. Ci sono dunque delitti innocenti, atti
irriflessi che marchiano a fuoco le vite umane. A
tormentare Romeo sono tutti quegli atti che, ‘non si
sa come’, ci portano a fare quello che facciamo.
Preso dall'irrefrenabile desiderio di scoprire negli
altri questi delitti Romeo dà inizio a una specie di
seduta freudiana di gruppo: il tormento del
protagonista si allarga agli altri personaggi e
tutti, in una folle corsa autodistruttiva, si
confessano sogni e pulsioni del cuore, in un
sanguinoso mattatoio metafisico dove i corpi e le
coscienze sono fatti oggetto di una violentissima
vivisezione, che ricorda da vicino quella, tutta
contemporanea, di Thomas Bernhard. Da questa
situazione di partenza Pirandello svolge uno dei
suoi drammi più feroci, immergendosi, armato di una
scrittura - bisturi che analizza i misteri
dell'anima e del pensiero, nei labirinti segreti del
cuore e della psiche umani, nell'ennesimo tentativo,
più che mai riuscito, di dimostrare che «ciò che noi
conosciamo di noi stessi, non è che una parte, una
debolissima parte, di ciò che siamo» (Giovanni
Macchia).
Tornando
a Pirandello dopo aver messo in scena nel 2007 I Giganti della
montagna, Federico Tiezzi conferma il suo
interesse per la fase estrema del drammaturgo
siciliano: Non
si sa come, che è del 1934, contende ai Giganti il
titolo di ultimo dramma composto dallo scrittore. Lo
spettacolo succede all’allestimento di Un amore di
Swann, dal romanzo di Marcel Proust, e costituisce
un ideale “secondo tempo” di una riflessione scenica
sull’ebbrezza e la tortura dell’amore: un amore
inteso non solo come manifestazione emotiva, ma come
lo spazio di una violenta verifica della “tenuta”
della condizione umana nel momento della sua più
alta e significativa tensione storica ed
esistenziale.
“Sono
affascinato dai testi “incompiuti”, come I Giganti della
montagna. O questo Non si sa come,
non perfetto nella struttura, imbastardito da una
fine non sua e aggiunta all’ultimo momento,
rimaneggiato e sbilanciato – spiega Federico Tiezzi
- In Non si
sa come sono affascinato dal problema teatrale
di un testo che non ha azione, e nel quale i
personaggi affermano la propria esistenza
esclusivamente attraverso il linguaggio. Sono
ammaliato da un linguaggio dal quale va tolto un
velo, che va aperto, come un’ostrica, che va
rivelato attraverso il bisturi psicanalitico, che
porta in luce le strutture che danno vita a quel
linguaggio: infine la società borghese di quegli
anni con i suoi non-valori o valori fratturati,
sbriciolati, come la famiglia e in definitiva il
rapporto uomo-donna. Mi interessava analizzare una
società borghese che vive in un luogo avulso dalla storia, come è
questa villa di campagna vicina a Perugia, tra Todi
e Gubbio insomma, buen retiro di una borghesia
ontologicamente immobile (che abita tutto l’anno
nella capitale tra i marmi di Wildt?) composta da
persone che si sottraggono alla storia e che di lì a
poco indosseranno come un vestito la maschera eroica
del fascismo. Si assiste a un jeu de
massacre geometrico che avviene esclusivamente
attraverso il linguaggio: è la situazione
psicologica del “volevo dire” e dei “hai capito
male” e dei “no, hai detto”. È quella sociale del
non dire fino in fondo, del nascondersi, del
filosofare. È molto interessante quello speciale
accanimento nell’uso della ragione che fa il
protagonista. Trascinando in questo gorgo da seduta
analitica di gruppo, come si vede nel secondo e
terzo atto, tutti gli altri personaggi.”
Del Bimbo Fabrizio
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