mercoledì 29 ottobre 2008

L'edizione 2008 di France Cinéma

Da anni France Cinéma, che si svolgerà dal 31 ottobre al 2 novembre al Cinema Odeon e all'Istituto Francese di Firenze, si riprometteva di occuparsi di Carné e Prévert. Rendere loro omaggio era una specie di dovere etico, dopo la coraggiosa riproposta vent’anni fa di un altro grande dimenticato, Julien Duvivier (France Cinéma gli ha dedicato il primo libro in Italia). Carné e Prévert vengono ora presentati in coppia: una scelta ben precisa, e originale. Dei sette film che hanno girato insieme se ne conoscono sì e no solo tre: Quai des brumes, Les jour se lève, Les enfants du paradis, cioè meno della metà. E poco si sa di quello che hanno fatto dopo la separazione nel 1946. Nel dopoguerra, Marcel Carné non ha avuto vita facile, di fatto è stato emarginato: i suoi progetti più ambiziosi venivano scartati dai produttori, e certa critica provò anche – ahimé con successo – a esautorarlo come creatore: Marcel sarebbe stato solo un illustratore sia pure brillante delle storie scritte da Jacques Prévert.
Il solo modo per sfatare le dicerie è rivedere i film. Da una attenta revisione dell’opera di Carné, con e senza Prévert, si impongono alcune osservazioni, delle “messe a punto” interessanti e anche sorprendenti.1) Carné debutta a vent’anni (1929), "senza Prévert", con un cortometraggio-capolavoro (Nogent, eldorado du dimanche) che tutti citano distrattamente per onor di cronaca, ma nessuno sembra averlo visto. Strano perché si tratta di un autentico capolavoro e sarà una delle sorprese della retrospettiva fiorentina curata da Françoise Pieri. Girato tutto in esterni con una libertà, una felicità inventiva, un ritmo prodigiosi, si può ben dire che Nogent anticipa il meglio della futura Nouvelle Vague anni sessanta. Questo sorprendente filmino-faro, invisibile in Italia, la dice lunga sulle qualità registiche del ventenne Marcel, un po’ come quattordici anni dopo sarà Gente del Po per il debuttante Antonioni; Nogent potrebbe avere come sottotitolo "Gente della Marna". Anche il quarto lungometraggio Hôtel du Nord (1938) è stato girato "senza Prévert" (assente all’epoca dalla Francia); questa seducente favola populistica – che è al tempo stesso una parodia del romanticismo amoroso – merita di essere rivalutata, e non solo perché è il film rivelazione di Arletty, immensa attrice, inventata proprio da Carné, che di attori e di casting se ne intendeva come pochi.
2) Nel triennio 1937-39 il tandem Carné-Prévert sforna di seguito quattro capolavori. Oltre alla mitica trilogia (Quai des brumes, Le jour se lève, Les enfants du paradis) vanno citati – e rivalutati – Hôtel du Nord e Drôle de drame, indiavolata, irresistibile commedia burlesca che figura tra i capolavori del cinema comico mondiale. Carné-Prévert, eh sì, sanno anche fare delle belle commedie! Su Quai des brumes e Le jour se lève non c’è più nulla da dire: sono tragedie moderne originali, assolutamente perfette, sconvolgenti, che hanno anche il non piccolo merito di aver rispecchiato l’angoscia di quegli anni prebellici meglio di tutti gli altri film dell’epoca (compresi i capolavori di Renoir). Erano insomma il riflesso, la cristallizzazione di un’inquietudine diffusa nella società francese alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Esistono nella storia del cinema dei film chiave: il merito di Quai des brumes (Il porto delle nebbie) e Le jour se lève (Alba tragica) è aver fotografato, "definito" un’epoca: il sogno illusorio di un "altrove" (il disertore), le delusioni esistenziali, la violenza nei rapporti umani (il pittore tedesco suicida, lo zio indegno di Nelly, la banda di malviventi capitanata da Pierre Brasseur), gli amori impossibili.Le jour se lève è unanimemente considerato la tragedia-capolavoro di Carné-Prévert. È anche uno dei rarissimi film francesi dell’epoca dove si veda vivere un operaio "vero" (faceva notare Raymond Borde). Ma attenti a non banalizzare: Carné-Prévert non erano dei romantici attardati, Quai des brumes non si riduce ai pavé bagnati di pioggia, alla nebbia che avvolge le navi del porto, ai giochi di luci espressioniste. «In fondo quei film erano la vera Nouvelle Vague, vent’anni prima» dirà non senza ragione Jean Gabin, protagonista di ambedue film, in un formidabile documento filmato da Pierre Prévert negli anni Sessanta (Mon ami Jacques), di cui proietteremo a Firenze alcuni estratti sorprendenti. Quella di Gabin è una formula decisamente calzante. (Tra cinquant’anni venereremo A bout de souffle come oggi ci ricordiamo di Quai des brumes? Ai posteri l’ardua sentenza, ma ho il sospetto che la "Nouvelle Vague Anni Trenta" non tema rivali).Les enfants du paradis (1945) merita davvero la qualifica del "più bel film della storia del cinema francese". Con questo monumentale affresco ottocentesco il tandem Prévert-Carné ha saputo dare al cinema l’equivalente del grande romanzo ottocentesco. Mai tenero con il nostro regista, François Truffaut dirà un giorno molto cavallerescamente: «Darei tutti i miei ventitré film per Les enfants du paradis». Questa candida ammissione riscatta in parte la serie di giovanili e un po’ puerili stroncature di cui fu vittima il povero Carné. Sul settimanale "Arts" del 31 ottobre 1956 Truffaut scriveva: «Carné è un puro tecnico, le sue capacità sono di tipo artigianale, la messa in scena è per lui un lavoro manuale. Spirito confuso, non ha mai saputo valutare una sceneggiatura, non ha mai saputo scegliere un soggetto, ha lasciato che altri svolgessero per lui questo lavoro; per anni ci ha offerto dei film di Jacques Prévert messi in immagini da Marcel Carné». Come abbia potuto un ragazzo geniale come Truffaut scrivere delle simili sciocchezze è un mistero, e l’età non era una scusante; per fortuna verso la fine cambierà parere e tenterà anche di riallacciare dei rapporti con Carné, che però rifiuterà la mano tesa.
3) Il solo anello debole dei sette film del tandem girati nello splendido decennio prebellico è forse Les visiteurs du soir (1942). Davanti all’algido manierismo di questa favola medievale troppo allegorica e lenta, i difetti innegabili di Les portes de la nuit uscito nel 1946 sembrano peccati veniali: questo audace film "politico" postbellico, troppo ambizioso per l’epoca, ha momenti di grande emozione, e non meritava le feroci stroncature che indussero lo sceneggiatore a chiudere con il cinema. Les portes de la nuit resta una testimonianza autentica, inquietante, sulla Francia 1945 dilacerata dal conflitto tra collaborazionisti e membri della Resistenza. Siamo curiosi di vedere come reagirà il pubblico fiorentino alla proiezione di Les portes de la nuit, ultimo inquietante film "maledetto" del tandem.
4) Cinque grandi film, su sette, non male come bilancio di dieci anni di collaborazione per il tandem Prévert-Carné. Privo del suo sceneggiatore alter ego, dal 1947 il regista deve cercarsi dei rimpiazzanti, ma di Prévert ce n’è uno solo. Per chi si è formato negli anni Trenta non è facile ambientarsi nel caotico dopoguerra: ne sanno qualcosa Renoir, Clair, Duvivier, Grémillon; anche per questi cineasti si deve parlare di un "prima della guerra" e di un "dopo". Il cinema – si sa – è strettamente legato all’atmosfera sociale, politica, culturale del tempo; se i film realizzati negli anni Trenta da Renoir e compagni hanno quella forza, quel fascino inconfondibili lo debbono anche al particolarissimo clima della stagione del Fronte Popolare, che aggiungeva uno stimolo ulteriore alla creatività degli artisti. È un fatto che tra i sette film di Carné del primo decennio e quelli (dodici) girati dal dopoguerra in poi c’è un innegabile salto di qualità. Non è tutta colpa sua: il regista dovrà rinunciare ai progetti più ambiziosi perché i produttori non gli fanno più fiducia, dovrà accontentarsi di girare anche dei film alimentari; non è facile ritrovare lo slancio poetico e creativo di una stagione irripetibile. Cercando altre strade con alterna fortuna, Carné si appoggerà alla letteratura: Georges Simenon (La Marie du port, Trois chambres à Manhattan), Georges Neveux (Juliette ou la clé des songes), Emile Zola (Thérèse Raquin, una trasposizione davvero originale e memorabile con Raf Vallone e Simone Signoret). Tenterà la fortuna nei film diciamo di genere: la boxe in L’air de Paris, i giovani sbandati di Saint-Germain-des-Prés (Les tricheurs). Quest’ultimo film ha il merito di anticipare profeticamente i film giovanilistici della Nouvelle Vague, ma verrà snobbato dai "Cahiers du Cinéma", un "accademico" non può capire i giovani!? Ma come faceva notare Edgar Morin all’epoca, «Les tricheurs va al di là della rappresentazione del mal di vivere giovanile fine anni Cinquanta, rappresenta il meccanismo infernale di ogni tragedia, la trappola del nichilismo, e del cinismo». Queste cinque opere introvabili in Italia le rivedremo tutte nella retrospettiva fiorentina.
5) Il caso Prévert. Non è raro nella storia del cinema che i meriti di un film vengano attribuiti al soggettista-sceneggiatore-dialoghista più che al regista : accadrà anche per il duo Zavattini-De Sica, e in parte minore al duo Flaiano-Fellini. Per Prévert-Carné però si è creato un vero e proprio caso: per la Nouvelle Vague l’autore vero dei film di Carné sarebbe soltanto lo scrittore Jacques Prévert. Quale fu realmente la "quota" dello sceneggiatore e quella del regista? Ex surrealista, autodidatta coltissimo, anticonformista, dotato di un umorismo, di un’ironia corrosiva, di una fantasia sbrigliata, e di una sensualità popolaresca (ha sempre amato i "livres de poche", e detestato gli intellettuali e le avanguardie), Jacques Prévert sa creare delle storie favolose insolitamente ricche di tipi umani dotati di grande vitalità, dai protagonisti alle figure cosiddette minori; storie accessibili a tutti, ma anche ai palati fini. Essere vivo, conservare in se stesso la verginità dell’infanzia, per Jacques contava più dello scrivere. Ma – è il suo lato debole – ha bisogno di un’intelligenza che incanali queste sue invenzioni debordanti, che imbrigli quella sua «tendenza a immaginare dei personaggi dalle tinte uniformi, immobili nella loro psicologia, privi di livelli, ridotti sovente a dei simboli poetici» come rilevava giustamente Antonioni nel suo monumentale saggio su Carné ("Bianco e Nero" n.10, ottobre 1948). Questo compito di moderatore lo ha svolto il buon Carné. Intellettuale algido, meno colto dell’amico ma dotato di una tenacia sul lavoro a tutta prova, e di un alto senso del ritmo cinematografico, nonché ottimo direttore di attori, Marcel Carné è un professionista impeccabile, un supertecnico che possiede però un sottile gusto visivo, sa costruire delle immagini raffinate e perfette. Uomo del Nord, Marcel possiede insomma quella "sensibilità dell’intelligenza" che gli consente di incanalare i bollenti spiriti del collega-poeta innamorato del Midi. «La meticolosità iconica di Carné – scrive Nepoti – modera l’impeto del poeta, quella sua certa propensione alla verbosità e al disordine, riportando tutto alla dimensione dello schermo». Quello del poeta-sceneggiatore Prévert e del cineasta Carné è stato insomma un felicissimo caso, forse unico, di armoniosa “com-ple-men-ta-rie-tà” a tutti i livelli. Come ci fa notare Michèle Morgan l’attrice rivelata da Quai des brumes (intervista pubblicata nel catalogo), il cinema è un fatto di équipe, ed è proprio lei a contestare decisamente l’idea che Prévert fosse da solo l’autore dei film dell’amico. Michèle Morgan paragona Carné a un formidabile direttore d’orchestra, l’immagine è molto suggestiva. Carné ha avuto in effetti il merito, la fortuna, di crearsi intorno una formidabile équipe. Di tecnici: i musicisti Jaubert e Kosma, lo scenografo Trauner (Duke Ellington dirà che andava in giro per Parigi «per ritrovare le scenografie di Trauner»), i migliori operatori alla fotografia, provenienti curiosamente dall’espressionismo tedesco, la scuola che ha più influenzato il suo cinema. Di mitici attori: Arletty Michèle Morgan, Jean Gabin Michel Simon, Louis Jouvet, Jean-Louis Barrault; davanti a questi giganti i grandi attori della futura Nouvelle Vague fanno ahimé la figura di dilettanti: chi è Jeanne Moreau davanti ad Arletty, chi è Belmondo davanti a Gabin e a Simon? Come possiamo vedere sono molti i fattori che spiegano il miracolo di quegli anni d’oro.Se François Truffaut ce lo permette Carné non è un anonimo artigiano illustratore di idee altrui, è un signor regista: ha un’eccezionale padronanza del montaggio, un sottile senso musicale del ritmo cinematografico, la capacità davvero rara – preantonioniana – di far lievitare la realtà in senso poetico, di suggerire un’atmosfera, di creare delle immagini di una raffinatezza rara nel cinema francese, sa organizzare lo spazio e dirigere gli attori. Si potrebbe quasi sostenere che, curiosamente, sarà proprio l’italiano Antonioni il massimo erede (involontario?) di Carné. Cineasti come Lizzani, Paolo Taviani, Brenta concordano; anche Visconti (Ossessione) avrebbe subito il fascino del cinema di Carné-Prévert.Di queste qualità registiche si è sempre parlato troppo poco, mentre sulla generosità-umanità di Renoir gli elogi si sono a volte sprecati; perché per celebrare Renoir "le patron" si dovrebbe sparare su Carné, Duvivier, Clair, Clouzot e compagni?Nel catalogo che accompagna la retrospettiva viene dato – forse per la prima volta – ampio spazio ai fratelli Prévert. La nostra è solo una prima timida introduzione, molto resta da scrivere sulla complessa personalità di Jacques il poeta, e del troppo timido fratello regista Pierre, rimasto sempre in ombra (di lui presentiamo l’ineffabile L’affaire est dans le sac e Paris la belle); i quattro saggi che dedichiamo ai Prévert nel catalogo sono solo un piccolo inizio. Quello che più colpisce nei testi scritti per il cinema dal poeta-sceneggiatore Jacques Prévert è la straordinaria varietà: spazia dal fantastico puro di Les enfants du paradis, Les visiteurs du soir, (Adieu Léonard e Voyage surprise, diretti dal fratello Pierre), al documentario più realistico Aubervilliers (1945) diretto da Eli Lotar, dal burlesco surrealista (Drôle de drame, L’affaire est dans le sac) al tragico puro (Quai des brumes, Le jour se lève, Les portes de la nuit), dal sarcastico politico (Les amants de Vérone, diretto da Cayatte nel dopoguerra) al melò (Jenny, il primo film del tandem), all’apologo: i brevi film di animazione di Paul Grimault (noto per il formidabile lungometraggio Le roi et l’oiseau, sceneggiatura di Jacques) Le diamant e Le petit soldat che vedremo a Firenze. Senza sottovalutare i testi poetici composti per le cento e più canzoni divenute molto popolare come “Les feuilles mortes”, “Barbara”, “Les enfants qui s’aiment”. Jacques Prévert è davvero un vasto mondo tutto da riscoprire. Quello che ci incanta in lui è quel suo formidabile umorismo che non lo ha mai abbandonato: riprendendosi dopo dieci giorni di coma in seguito a una brutta caduta dal primo piano della Maison de la Radio a Parigi, situata allora nell’ottavo "arrondissement", il malato avrebbe esclamato «Vorrei tanto sapere se sono caduto dall’ottavo piano nel primo "arrondissement" o dal primo piano nell’ottavo "arrondissement"»! Ascoltando quella battuta del fratello dato per morto, il regista Pierre tirò un grande sospiro: come Lazzaro, Jacques era ritornato fra noi.

Fabrizio Del Bimbo

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