lunedì 12 ottobre 2009

Federico Barocci a Siena



“Federico Barocci (1535-1612). L’incanto del colore. Una lezione per due secoli” è la mostra che Siena dedica fino al 10 gennaio 2010 al genio di uno dei maestri la cui fama in Italia, Spagna, Boemia, Baviera e nelle Fiandre fu pari, nel corso del Cinquecento, a quella di Raffaello e Michelangelo, di Tiziano e Correggio.
La mostra consente di ammirare ben 34 opere del maestro provenienti dai musei di Londra, Parigi, Vienna, Roma, Napoli, Firenze, Perugia, Urbino e da altri importanti centri come Senigallia e Assisi.
Tra i capolavori spiccano alcune opere di esaltante bellezza restaurate per l’occasione, come la Deposizione del Duomo di Perugia e il Perdono di Assisi dalla chiesa di San Francesco a Urbino. La mostra è stata curata da Claudio Pizzorusso e Alessandra Giannotti ed ha avuto come enti promotori il Comune di Siena, l’ Università per Stranieri di Siena, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Siena e Grosseto e la Soprintendenza ai Beni Artistici delle Marche Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
Barocci nacque ad Urbino nel 1535, morì ad Urbino nel 1612 e fu protagonista di una singolare vita: dopo il brillantissimo esordio romano tra il 1561 ed il 1563 con gli affreschi del Casino di Pio IV in Vaticano, Barocci si rifugiò precipitosamente ad Urbino, dove si chiuse in un ipocondriaco isolamento.
Considerato uno dei pittori più importanti fra Correggio e Caravaggio, la sua carriera iniziale a Roma fu veloce e brillante, ispirata da Raffaello, ammirata da un oramai anziano Michelangelo e consigliata da Taddeo Zuccari.
Pittore religioso per eccellenza, la sua opera è una perfetta interpretazione della Controriforma ovvero quel movimento nato in seno alla Chiesa cattolica nel XVI secolo con lo scopo di arginare le posizioni.
A partire dal XV secolo erano scaturite da diverse correnti del cattolicesimo esigenze di riforma della Chiesa ed erano state esercitate critiche corrosive indirizzate alle più alte cariche della gerarchia ecclesiastica, soprattutto a motivo dello scandalo rappresentato dal Grande scisma e dagli abusi che costellavano la vita della Chiesa.
Così, il frate domenicano Girolamo Savonarola condannò severamente gli atteggiamenti mondani di papa Alessandro VI; il cosiddetto “movimento degli osservanti” (esponente di spicco del movimento fu tra gli altri san Bernardino da Siena), nato in seno agli ordini mendicanti, tentò di richiamare i membri a una maggiore conformità all’austerità della regola francescana; dotti umanisti come Erasmo da Rotterdam tentarono di escogitare alternative alle sterili speculazioni della teologia accademica. Tuttavia, questi sforzi rimasero frammentari e privi di una prospettiva unitaria, e non incisero sensibilmente sulle decisioni e sulle politiche della Chiesa.
Solo con l’elezione di papa Paolo III nel 1534 e l’acquisizione della porpora cardinalizia da parte di sinceri riformatori come Gasparo Contarini, la Chiesa ottenne gli strumenti efficaci per dar vita a un reale rinnovamento. Il papa incoraggiò la formazione e l’azione di ordini nuovi, come ad esempio i teatini, i cappuccini, le orsoline e specialmente i gesuiti che, con il loro impulso al rinnovamento dell’educazione e il fervore catechetico dell’opera missionaria, conferirono nuovo vigore alla trasmissione della dottrina cristiana e all’apostolato.
Barocci non rappresenta in modo aulico i fasti della Chiesa, ma tocca direttamente l’animo dei fedeli, suscitando una commozione tale che diviene devozione Controriforma: creando un legame affettivo ed emozionale fra lo spettatore ed i protagonisti dell’evento sacro rappresentato, dà alla devozione un carattere quotidiano e personale, creando una fusione fra paesaggio ideale e reale, che col tempo si caricherà sempre più di riferimenti simbolici ed autobiografici. La sua operazione culturale ha un fine preciso: opporre all’individualismo delle correnti protestanti il sentimento collettivo della Chiesa Cristiana.
Barocci fuggì da Roma sostenendo di essere stato avvelenato per gelosia, rimanendo poi menomato per tutta la vita da una condizione di salute delicata. Ritornò alla sua natia Urbino nel 1565, in una sorta di volontario ritiro interrotto solo dai contatti con i numerosi committenti, sparsi per tutt’Italia. In città dove entrò sotto la protezione di Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino Il Palazzo Ducale si vede nello sfondo dei suoi dipinti, resi in una prospettiva forzata che sembra un'anticipazione della futura pittura Barocca. Ad Urbino Barocci riuscì ad ottenere importanti commissioni per le sue pale d'altare, avvicinandosi alle correnti più innovative dei Francescani e dei Cappuccini.
Barocci ha realizzato opere frutto di “diligente studi” ben lontane dagli atteggiamenti esasperati dei manieristi: il suo spazio è calcolato matematicamente, non è né illogico, né disordinato come quello dei manieristi; usa colori primari e crea forme senza linee di contorno, a differenza dei manieristi che usano toni intermedi e linee di contorno cariche e cupe.
In molti lavori, la vena pittorica di Barocci si apre verso le grandi tematiche corali del momento. Ne sono un esempio il Perdono di Assisi (Urbino, Chiesa di S. Francesco) e la Madonna del Popolo (Firenze, Galleria degli Uffizi). Il grande bagaglio tecnico del pittore e la sua iridescente gamma cromatica si materializzano nelle Sepoltura di Cristo (Senigallia, Chiesa della Croce), ove lo schema centralizzato viene sostituito da una composizione molto più dinamica. Sempre a Senigallia, in Pinacoteca, è conservata la Madonna del Rosario e San Domenico. Nell’ultimo decennio del 1500, Barocci realizza indagini di tipo naturalistico, che si concentrano su oggetti o su animali, lontano da ogni approfondimento intellettualistico. Appartengono a questa fase la Circoncisione (Parigi, Louvre) e San Francesco che riceve le stimmate (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche). Barocci eseguì inoltre disegni, incisioni, miniature, ritratti; fra quest’ultimi ricordiamo quello splendido di Francesco Maria Della Rovere (Firenze, Galleria degli Uffizi).

Nicoletta Curradi

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