mercoledì 14 maggio 2008

Vardi Kahana. One family al Pecci di Prato

Dal 21 maggio al 15 giugno esposizione fotografica al Pecci di Prato. La mostra presenta una ricerca iconografica compiuta dall'artista, nel corso di un decennio, attraverso confini geografici, ideologici e psicologici. Alla prima generazione dei sopravvissuti all'Olocausto, Vardi Kahana accosta una miriade di esperienze individuali e collettive, dai Kibbutzim ai coloni della Cisgiordania, dagli ortodossi di Tel Aviv ai secolari di Copenhagen, tutti accomunati dall'appartenenza ad un'unica famiglia: la sua. Il lavoro dell'artista evidenzia le diverse dinamiche dei legami familiari che si creano nei periodi in cui la necessità di sopravvivenza è bisogno primario.
Il punto di partenza della mostra è l’immagine di Rivka, madre dell'artista, e di Lea ed Ester, sue due sorelle. Sul loro braccio sinistro sono tatuati tre numeri consecutivi: A-7760, A-7761, A-7762, l'ordine in cui, nell'aprile del 1944, ad Auschwitz hanno aspettato in fila che fosse loro impresso il tatuaggio d’ingresso al campo. A quel tempo non sapevano se sarebbero sopravvissute fino all'indomani: oggi vivono tutte e tre in Israele, nonne di trentuno nipoti.
Per ritrarre i suoi parenti l'artista ha viaggiato in Israele ed all'estero: dai Kibbutz socialisti della Shomer Hatzair nel nord, agli insediamenti in Giudea e Samaria, dagli insediamenti di Susya, nelle colline a sud di Hebron, alla ricca Savyon; da Gerusalemme a Tel Aviv; da Bnei Brak a Copenaghen; da Petach Tikva a Cesarea. Un lavoro di documentazione fotografica che narra la storia di quattro generazioni protagoniste dell'esperienza esistenziale ebraico-israeliana.
Spostamenti fra "sinistra" e "destra", fra ultraortodossi e case di atei ed agnostici. Vardi Kahana nel suo lavoro evidenzia le dicotomie che si sono create all'interno della famiglia: "Nella mia relazione con i cugini - spiega l'artista - manca ormai quel senso di urgenza esistenziale che contrassegnava la relazione dei miei genitori con i suoi fratelli. Ma c'è di più: si è creato un divario politico e religioso che talvolta provoca una vera e propria spaccatura. La geografia è una metonimia per la voragine ideologica che separa i diversi rami della mia famiglia. Adesso che noi stessi siamo diventati genitori - prosegue Kahana - il bisogno di vicinanza della famiglia allargata è diminuito. È vero che il divario ideologico ci allontana e cancella qualunque possibilità di un denominatore comune? A quanto pare sì. Ci incontreremo in occasione delle feste e Dio non voglia, ai funerali. Nessun altro collante ci tiene più uniti".
DEL BIMBO FABRIZIO

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